Sin dai primi insediamenti, l'uomo tende ad agire sullo spazio che occupa ragionando in modo funzionale al proprio vivere quotidiano. Costruisce per abitare, delimitare, e per ordinare lo spazio e il tempo. La città è il teatro che ospita e regola la nostra giornata, talvolta senza lasciare posto al caso, all'imprevisto, e al nostro vero sentire. Muoversi nello spazio urbano è molto spesso un atto condizionato, guidato da regole e logiche precise ed estremamente funzionali che si manifestano a noi attraverso elementi urbani come le reti viarie e la segnaletica. Anche il camminare, atto apparentemente libero e naturale, è spesso una pratica incanalata e regolata. La città, organizzata secondo criteri di utilità e produttività, ci spinge così a muoverci al suo interno come pedine funzionali, indebolendo il potenziale più profondo e sensibile del nostro abitare.
Guy Debord, intellettuale tra i più influenti del Novecento, si dimostrò contro questa logica. Elaborò, infatti, il concetto di "deriva urbana" (dérive): una pratica esplorativa degli spazi urbani che ha avuto un ruolo centrale nella critica alla società dello spettacolo. La deriva nasce proprio come risposta all'alienazione prodotta dalla città moderna e dalla vita quotidiana regolata da logiche capitalistiche, proponendosi come forma di resistenza e di esplorazione creativa. Essa consiste nel vagabondaggio intenzionale, ma non pianificato. È un'esperienza immersiva che prevede l'abbandono delle abitudini quotidiane per lasciarsi guidare dalle suggestioni del paesaggio urbano e dalla psico geografia dei luoghi.
Durante una deriva ci si lascia attraversare dai luoghi, cercando il sensibile al posto dell'utile.
Lo spazio non è dunque solo fisico, ma anche simbolico ed emotivo.
Ma che cosa guida il percorso quando la città non si fa sentire?
Nowhere è la rappresentazione dello smarrimento, della mancanza e di un vuoto che va riempito.
Questo progetto fotografico nasce da una deriva urbana che ci ha portate a riflettere sull'anonimato della città. Durante il percorso ci siamo sentite sommerse da ripetizioni di forme geometriche fredde, e i quartieri che ci siamo trovate a percorrere ci hanno restituito una sensazione di sospensione e di disorientamento sia visivo che emotivo inaspettati. Questo girovagare ha innescato in entrambe allo stesso modo un bisogno inconscio di dare attenzione agli elementi che rendono una città anonima, evitando sempre più le tracce urbane che la rendono riconoscibile e accogliendo invece spazi che potrebbero essere ovunque, ma allo stesso tempo che ci fanno sentire da nessuna parte.
Le fotografie raccolte sono la reazione e la testimonianza di questo sentire comune.
Il percorso visivo inizia nel dominio del costruito, con immagini anonime e astratte di elementi urbani. Proseguendo nella sequenza, la natura interviene - dapprima timidamente, ma piano piano sempre più invadente - sul rigore del costruito urbano.
L'occhio viene così accompagnato verso un altro tipo di paesaggio, in cui la natura infine domina completamente e crea varchi visivi che aprono a visioni immaginifiche.
Le immagini sono state stampate in bianco e nero su carta scontrino, materiale fragile ed effimero, legato al quotidiano e al consumo. Le fotografie diventano così impressioni labili, a rimarcare la nostra transitorietà negli spazi che percorriamo.