HOW CAN I TRY TO EXPLAIN?
2024          credits: Andreea Barb, Giacomo Colombo, Gloria Perrone




Gli schermi sono muri i cui mattoni sono pixel, ordinati in griglia per essere impenetrabili. Infinitesimi per essere invisibili. Vicini sufficientemente, ma sempre di più, per nascondere la loro natura e rendere l’illusione sempre più convincente. La natura dei muri è divisiva. Quella delle immagini, però, relazionale. Questa è un’istanza fondante per il mondo digitale: basato sulla distanza, l’obbiettivo è di avvicinare. È un paradosso quindi la base fondativa di questo sistema. Come se non bastasse, la natura volubile e incerta, numerica e algoritmica del funzionamento della chimera digitale, costituisce un paradigma difficilissimo da approcciare. Un paradosso è una proposizione che funziona, sintetica ed eloquente, ma che contraddice il vissuto esperienzale cui si riferisce. How can I try to explain? è un tentativo di vivere all’interno di quello spazio fra l’esperienza e il paradosso. Nel magma digitale in continuo scorrimento, qual è il valore delle emozioni? Che conseguenza ha la natura incerta di quest’esperienza? Come, noi ragazz*, primi utenti di questo sistema, possiamo cercare contatti umani attraverso un sistema costruito sulla distanza? Che ruolo ha la noia? Il punto di vista di questa ricerca è interno, ma necessariamente e paradossalmente esterno. Osserviamo gli schermi, volubili nella loro temporalità. Li registriamo con supporti fotosensibili ma anche con supporti puramente digitali ed eterei. Le immagini sono dislocate dal loro archivio. Di chi sono? Per chi sono? Come può la fotografia integrare un mondo senza scansione volumetrica? Una prospettiva che è solo traduzione di una sfilza di numeri che altrimenti non capiremmo. O la fotografia è integrata in questo sistema, come un soldato in un esercito? Il titolo è una domanda. Il flusso di immagini è immerso nel nero. Lo schermo è una luce accesa in un universo buio. Illumina, di notte, un volto stanco. Verso dove si rivolge quel pensiero distratto dalla luminosità dei pixel? La sintesi additiva lo nasconde strato dopo strato.Ti scrivo un messaggio, ti mando una foto. Ora le luci nell’universo buio sono due. Dal router del wifi, un cavo parte e attraversa il mondo. Una parte raggiunge te, un’altra viene stipata nei moderni magazzini nascosti e impalpabili. Nuvole di ferro consumano e masticano immagini, le rimescolano e le rispediscono al mittente. Lo schermo nero è lo specchio e tu sei la mia stessa immagine. Io la tua. Da te, dall’altra parte del mondo. I meme come una terapia silenziosa, gli algoritmi come terapisti muti. Dove vado? Cosa faccio? Cosa farò? Sto perdendo tempo? I pixel cambiano colore, uno ad uno, in un flusso ininterrotto. Avvicino l’occhio allo schermo e ne indago gli interstizi. Cosa succede li in mezzo? In quello spazio oscuro, che si nasconde sempre di più. More than your eyes can see , e more than your mind can think . Perchè se instagram mi conosce così bene non sono felice? Cosa mi manca? Cos’è il contatto? È efficace se reale? O il contatto avviene quando si colmano, claudicanti, le distanze linguistiche e le emozioni si sublimano nelle parole più facili e semplici possibili? Un amore estemporaneo, una comunione di intenti, si consuma limitato nel tempo delle sole risposte corrette.
Cosa succede se dico qualcosa di sbagliato? Torno al punto di partenza?

Da solo, di nuovo?